La normativa in piscina

Pubblicato su Edilportale.com il 9/11/2010

Dalle Regioni sempre più confusione
Quando si parla di normative che regolano la progettazione e la conduzione delle piscine in Italia ci si scontra con una forte difficoltà causata soprattutto dall’alternarsi di disposizioni differenti e da una generale mancanza di chiarezza da parte del legislatore sulla reale validità in termini giuridici delle stesse.
La principale ragione di questa confusione nasce dal fatto che in Italia non è mai esistita una norma nazionale specifica sull’argomento ed allo stato attuale ci si districa tra una serie di leggi, nazionali e regionali, circolari, accordi, decreti, spesso in contraddizione tra loro. Eppure la salute pubblica è fortemente messa a rischio da impianti mal fatti e ancor peggio gestiti, mentre un numero sempre crescente di utenti frequenta strutture la cui progettazione, realizzazione e gestione è fuori controllo, affidata solamente al buon senso di chi le mette in atto.
L’ultimo atto di una saga cominciata nel 2003 con l’Accordo tra Stato e Regioni è stato quello dell’emanazione del Regolamento della Legge Regionale Toscana n.8 del 9 marzo 2006, avvenuto tramite decreto regionale in data 26 febbraio 2010. Le fortissime pressioni politiche esercitate dalle agguerrite associazioni di categoria degli albergatori e degli agriturismi hanno fatto si che la norma sia stata privata di molti aspetti legati alla sicurezza dei bagnanti, ormai consolidati nella maggioranza delle (poche) regioni che si sono finora dotate di una normativa ad hoc, a favore di minori costi di realizzazione e di gestione degli impianti.
Ma l’esempio della regione Toscana è solo l’ultimo di una lunga serie di contraddizioni e di mancanze.
Il titolo V della Costituzione, dedicato a “le Regioni, le Province, i Comuni”, è stato oggetto, nel corso della XIII legislatura, di una profonda riforma che si è realizzata tramite le leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001 e il successivo referendum confermativo del 7 ottobre 2001. Le nuove disposizioni previste nell’art.117 inseriscono la tutela della salute tra le materie di legislazione concorrente per le quali spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Ciò ha fatto si che tutte le norme sulla salute pubblica, tra cui anche quelle riguardanti le piscine, siano passate alla competenza delle singole Regioni.
La normativa attualmente in vigore
L’”Accordo 16/01/2003 tra il Ministro della Salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sugli aspetti igienico-sanitari per la costruzione, la manutenzione, e la vigilanza delle piscine a uso natatorio” è a tutti gli effetti la prima disposizione normativa nazionale che si occupa in modo attento e coerente di igiene delle piscine, ma soprattutto è la norma che introduce un concetto fondamentale: la tutela sanitaria degli utenti in piscina e le responsabilità di coloro che sono preposti a garantirla.
L’Accordo fissa i principi generali e i livelli minimi di sicurezza igienica da rispettare in tutto il territorio nazionale. Spetta alle regioni il compito di emanare specifiche norme di attuazione.
L’Accordo riprende i capitoli principali già previsti nella bozza dell’Atto di Intesa proposta dal Ministro della Sanità nel 2002 ma fissa solamente i principi generali, i requisiti fondamentali su cui le regioni potranno sviluppare la loro disciplina. L’accordo non è un atto politico normativo ma un accordo politico-istituzionale che impegna le regioni a produrre atti coerenti con la disciplina concordata. Quasi tutte le regioni negli anni successivi hanno recepito l’accordo con delibera di giunta, che è entrato in vigore subito per la parte riguardante l’Allegato 1 che contiene i requisiti igienico ambientali richiesti, validi su tutto il territorio nazionale e che non possono essere oggetto di deroga da parte delle regioni.

Riportiamo nella tabella la situazione normativa attuale:

Emilia Romagna
Delibera
18 luglio 2005, n. 1092

Lombardia
Delibera
17 maggio 2006, n. 8/2552

Toscana
Legge Regionale
9 marzo 2006, n.8
Regolamento n.23 del 26 febbraio 2010
Marche
Delibera
24 luglio 2006, n. 874

Liguria
Delibere
4 agosto 2006, n. 852 e 14 aprile 2007, n. 400

Umbria
Legge Regionale
6 febbraio 2007, n. 117
Regolamento n.2 del 1 aprile 2008
Calabria
Delibera
12 dicembre 2007,n.770

Puglia
Legge Regionale
15 dicembre 2008, n.35
Manca il Regolamento
Provincia di Trento
Delibera
9 marzo 2007, n.480

Provincia di Bolzano
Delibera
28 giugno 2004, n.2360

Molise
Legge Regionale
21 novembre 2008, n. 33
Manca il Regolamento
Repubblica di San Marino
Decreto
2 marzo 2006, n. 50

Citiamo anche la Regione Piemonte, che ha in approvazione ormai da un anno una legge regionale.
La differenza tra legge regionale e delibera di giunta regionale è minima per quanto riguarda la validità della normativa, è importante per quanto riguarda le sanzioni, poiché una delibera di giunta non può per sua natura contenerne. In Lombardia è applicabile solamente la sanzione amministrativa del regolamento d’igiene, per un totale di 35 euro. Vista l’entità assolutamente irrisoria, si tende ad utilizzare l’altro strumento a disposizione delle ASL, cioè la chiusura dell’impianto, con una frequenza maggiore di quanto sarebbe necessario se si potessero applicare sanzioni di una certa entità.
Per le regioni che ancora non si sono dotate di una propria normativa, è difficile stabilire cosa sia necessario fare quando si deve progettare la costruzione oppure la ristrutturazione di una piscina.
Vanno comunque puntualizzati due aspetti: il primo è quello riguardante le indicazioni contenute nell’Allegato 1 dell’Accordo 2003, che stabilisce alcuni parametri impiantistici da rispettare, e nel quale è contenuta la Tabella A che riepiloga i requisiti chimico-batteriologici dell’acqua di vasca. Tali indicazioni non sono modificabili dalle Regioni e sono state recepite praticamente da tutte. Le ASL quindi, quando eseguono i propri controlli, si adeguano a quanto riportato in questo documento.
Il secondo aspetto è quello riguardante la Norma UNI 10637 revisionata nel 2006, che è stata inserita in tutte le normative regionali finora emanate e che detta le regole per la realizzazione degli impianti di trattamento dell’acqua. Anche nelle regioni nelle quali non c’è normativa è altamente consigliato di seguire questa norma, poiché in caso di contenzioso il Tribunale la prenderà certamente in considerazione, essendo l’unico atto attualmente esistente.
Tolti questi due aspetti, per quanto riguarda le altre prescrizioni normative è caos totale.
Dalla concentrazione massima ammissibile di bagnanti alla necessità del bagnino ogni Regione ha fatto a modo suo, e all’interno della stessa regione vi sono obblighi diversi a seconda della categoria di appartenenza della piscina. La regione Toscana, nel proprio regolamento, ha addirittura inserito alcune disposizioni in contrasto con la Norma UNI 10637.
Un esempio su tutti quello della Liguria, che ha emanato una delibera sulle piscine turistico-ricettive nella quale prevede l’obbligo del bagnino oltre determinati parametri di superficie e profondità e che dopo un anno ha inserito nel regolamento della legge regionale sugli agriturismi una deroga che stabilisce che il bagnino per tali piscine non è mai obbligatorio.

L’evoluzione della normativa dedicata agli impianti natatori
La prima norma specifica riguardante le piscine è la Circolare n° 16 del Ministero dell’Interno 15/02/1951. Il contenuto della circolare riguarda essenzialmente alcune norme sulla agibilità delle piscine, subordinata all’osservanza di regole quali: qualità dei rivestimenti, impianti per i tuffi, capienza di pubblico, passaggi obbligati, servizi igienici, sistema di salvataggio. L’agibilità era subordinata all’osservanza delle norme di cui sopra e all’esecuzione dei trattamenti dell’acqua di vasca, il cui giudizio era a discrezione del Medico Provinciale.
Il 16/02/1971, 20 anni dopo, viene emanata dal Ministero della Sanità la Circolare n° 128, di scarso potere normativo ma di alto valore pratico, trattandosi comunque dell’unica comunicazione ufficiale da parte di un organismo di governo sull’argomento. Introduce per la prima volta indicazioni pratiche sul trattamento dell’acqua sia sotto l’aspetto fisico che chimico e riporta una tabella contenente i requisiti chimico batteriologici richiesti dall’acqua di vasca. É il risultato del primo tentativo del legislatore di occuparsi di igiene nelle piscine e di fatto costituirà fino alla fine del 2002 l’unica norma di riferimento a livello nazionale.
Un anno dopo viene emanata la Circolare n° 86 del 15/06/1972 del Ministero della Sanità che riporta alcune precisazioni rispetto la Circolare n° 128 ed introduce l’obbligo della vidimazione da parte della ASL del registro dei controlli da effettuarsi sull’acqua di vasca.
Venti anni dopo l’emanazione della circolare, esce l’Atto di Intesa Stato e Regioni del 11/07/1991 sugli aspetti igienico-sanitari concernenti la costruzione, manutenzione, e vigilanza delle piscine uso natatorio. È un documento molto importante e complesso, che stabilisce i criteri di progettazione dei locali e le caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua di approvvigionamento e di vasca. Costituisce di fatto il primo riferimento di disciplina organica e tecnica che però risulta di difficile applicazione, soprattutto per le piscine più piccole e per quelle esistenti. Per questa ragione viene fortemente osteggiato dalle associazioni di categoria, il che porta alla emanazione di una circolare nel 1993 nella quale il Ministero della Sanità invita le regioni a non applicare le disposizioni contenute nell’atto di intesa. Molte regioni, in assenza di altre norme, recepiscono ugualmente l’atto, altre come il Veneto e la Lombardia tengono fede alla circolare 128 o emanano un proprio atto legislativo regionale come fa l’Emilia Romagna. In moltissimi regolamenti ASL a livello locale vengono recepite le indicazioni di tipo strutturale previste dall’Atto.
Nel 2002 dal Ministro della Salute viene riproposto un altro Atto di Intesa, con qualche modifica rispetto quello del 1991, ma che non trova l’approvazione delle realtà economiche e tecniche del settore e non vede mai la luce.
Nel frattempo viene emanato il Decreto Ministeriale 18 marzo 1996 relativo alle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi. Sebbene tale norma si riferisca soltanto agli impianti omologabili nei quali si svolgono manifestazioni e/o attività sportive regolate dal CONI è opportuno sottolineare che verrà richiamata dalla regolamentazione regionale soprattutto per quanto riguarda l’articolo 14 che tratta in specifico delle piscine. In seguito viene emanata la norma UNI 10637 nata nel 1997 e revisionata nel 2006, una norma tecnica e non una legge dello stato, che fornisce indicazioni per quanto concerne l’impianto di trattamento dell’acqua ed i requisiti chimico-fisici dell’acqua di approvvigionamento, di immissione dall’impianto di trattamento e di vasca, nonché le modalità e la periodicità dei controlli da effettuare. L’UNI è l’Ente Nazionale Italiano di Unificazione, una “Associazione senza fine di lucro avente lo scopo di emanare e di promuovere la diffusione e l’adozione delle norme tecniche”. Le norme emanate dall’UNI sono documenti che definiscono le caratteristiche (dimensionali, prestazionali, ambientali, ecc.) di un prodotto processo o servizio secondo lo stato dell’arte e sono il risultato del lavoro di esperti in Italia e nel mondo. Per la possibilità intrinseca di applicazione volontaria forniscono elementi certi agli operatori e possono avere rilevanza contrattuale solo se richiamate nei documenti legislativi. Ultima ma non meno importante è la Norma CONI, che detta i requisiti strutturali ed impiantistici necessari per ottenere l’omologazione degli impianti sportivi e la conseguente agibilità.
Cosa abbia fatto il nostro settore per meritare di vedersi trattato in questo modo, è difficile sapere.