Pubblicato su La Palestra 2013
Qual è il modo corretto di smaltire le acque? E come evitare di incappare in pesanti sanzioni?
Quando si progetta una piscina e si pensa come utilizzarla al meglio ci si preoccupa molto dell’acqua che vi sarà contenuta: il riempimento, il trattamento, il reintegro. Ma ci si preoccupa solitamente molto poco dello smaltimento. Questo aspetto invece dal punto di vista delle disposizioni da osservare è sicuramente l’aspetto più delicato, poiché lo smaltimento delle acque è soggetto a normazione, al fine di tutelare l’ambiente, e la comprensione dei corretti comportamenti da mettere in atto al fine di evitare sanzioni non è sempre semplice.
Gli scarichi delle acque possono essere effettuati al suolo, in corpi idrici superficiali e in fognatura. La maggioranza delle piscine scarica oggi in fognatura, ma esistono ancora impianti che scaricano al suolo o in corpi idrici superficiali rischiando, per ignoranza, pesantissime sanzioni anche penali. Le acque di scarico sono distinte in acque reflue urbane, acque reflue industriali e acque assimilate alle reflue urbane per caratteristiche e limiti quantitativi. L’acqua delle piscine viene generalmente assimilata alle reflue urbane secondo parametri stabiliti dalle singole Regioni. Il fatto di appartenere alla categoria delle acque reflue domestiche anziché a quella delle acque reflue industriali comporta molti vantaggi, primo fra tutti le sostanziali differenze delle sanzioni in caso di contravvenzione.
Ogni scarico, infatti, deve essere autorizzato, tranne lo scarico domestico e l’assimilato che non necessita di autorizzazione ma deve sempre e comunque essere comunicato.
Possibili sanzioni
Per comprendere l’importanza del rispetto della normativa sulle acque di scarico, elenchiamo alcune sanzioni:
– Superamento dei valori limite dello scarico: multa da 3.000 a 30.000 euro
– Scarico non autorizzato: multa da 6.000 a 60.000 euro
– Scarichi di acque reflue industriali non autorizzati: arresto da due mesi a due anni
– Scarichi di acque reflue industriali non autorizzati contenenti sostanze pericolose: arresto da tre mesi a tre anni
– Superamento dei valori limite dello scarico di acque reflue industriali: arresto fino a due anni.
Come si vede, le sanzioni penali riguardano solamente le acque industriali. Se e quando l’acqua di una piscina possa essere assimilata alle acque domestiche o debba essere considerata uno scarico industriale è di competenza delle singole Regioni, che naturalmente hanno adottato misure diverse tra loro. Solo alcuni esempi: per la Lombardia sono assimilate alle domestiche le piscine che hanno un consumo medio giornaliero minore di 20 mc, per la regione Campania sono domestiche le piscine che scaricano annualmente meno di 50 mc, per la regione Marche quelle che hanno un carico organico biodegradabile complessivo inferiore a 50 abitanti equivalenti, mentre per la Liguria tutte le piscine hanno scarichi assimilabili ai domestici.
I parametri da considerare
Per quanto riguarda le acque di scarico, le caratteristiche che devono possedere tali acque sono elencate nella Tabella dell’allegato 5 e valgono sia per le acque scaricate al suolo che per quelle scaricate in fognatura. Ricordiamo ancora una volta però che lo scarico al suolo o in acque superficiali deve ottenere un atto autorizzativo scritto, da richiedere al competente SUAP.
Come si può notare, i parametri i cui limiti potrebbero essere facilmente superati sono quelli del cloro, dei cianuri, delle sostanze organiche durante i controlavaggi e dei cloruri nel caso di piscine disinfettate tramite elettrolisi del sale.
Normalmente lo scarico di una piscina, se viene assimilato a quello domestico, viene comunicato alla ASL competente nella autorizzazione complessiva alla realizzazione della piscina, la quale può stabilire opportuni accorgimenti per rientrare nei limiti dello scarico. Solitamente ci si preoccupa solamente del valore del cloro, che sicuramente supera quelli previsti. Gli accorgimenti richiesti per abbatterlo vanno da un sistema manuale di dosaggio di una sostanza chimica che riduce il cloro (tiosolfato o bisofito di sodio) ad un sistema automatico con il montaggio di un sensore di flusso nella tubazione, fino alla realizzazione di una vasca di decantazione.
La richiesta di questi accorgimenti è indipendente dalla classificazione della piscina, può essere posta infatti sia per un grande impianto pubblico che per una piccola piscina privata.
Recentemente un decreto riguardante le agevolazioni per la PMI (Piccole e Medie Imprese) ha stabilito che le acque di scarico delle piscine sono da considerarsi sempre domestiche, ad eccezione delle acque di scarico del controlavaggio, che devono essere opportunamente trattate. Il primo punto critico è il campo di applicazione di questo decreto, che riguarda solamente le PMI e non, paradossalmente, le associazioni sportive. Il secondo punto critico riguarda invece il metodo di trattamento delle acque di controlavaggio, delle quali è molto difficile conoscere la composizione, poiché andrebbe prelevato un campione sulla totalità dello scarico, che mescola acqua molto sporca all’inizio con acqua pulita alla fine del ciclo. Per ora ancora non ci sono chiarimenti, anche se li si sta cercando.
Rossana Prola