Concessioni di piscine, la cauzione uccide la concorrenza

La gestione affidata tra difficoltà insormontabili

Ci sono molte organizzazioni e molti privati che hanno ottime idee e tanta, tanta buona volontà per gestire e mantenere una piscina comunale. Ci sono tanti sogni che vorrebbero essere realizzati, tanti progetti che meriterebbero di vedere la luce.

Ci sono tanti Comuni che, spesso a causa di scelte sbagliate compiute negli anni delle “vacche grasse”, si trovano ad essere proprietari di impianti natatori che non sono più in grado di ristrutturare, né tantomeno di gestire, e che concederebbero molto volentieri in uso a chi vorrebbe realizzare il proprio sogno di diventare gestore.

Ma non si può.

Il Codice degli Appalti, il D.Lgsl.50/2016, ha deciso che gli impianti sportivi non debbano godere di nessuna agevolazione e che tutti gli impianti ad uso pubblico debbano essere trattati allo stesso modo: la gestione di una piscina è uguale a quella di un parcheggio multipiano, o di un meno allegro ma ben remunerativo cimitero.

L’art. 165 (Rischio ed equilibrio economico-finanziario nelle concessioni) e le Linee Guida ANAC n.9 hanno di fatto abolito la possibilità da parte dell’ente pubblico di farsi garante presso gli enti finanziatori per conto del concessionario. Ciò rende difficilissimo, al limite dell’impossibile, la bancabilità dei progetti. I soggetti che operano nel settore sportivo, infatti, sono costituiti praticamente sempre da società senza scopo di lucro, con un patrimonio ridotto. Il costruttore dell’opera, solitamente più affidabile dal punto di vista finanziario, non ha nessun interesse a rendersi garante di fatto di una parte di attività, cioè quella relativa alla decennale gestione che costituisce la remunerazione dell’investimento, che non conosce e che non può governare. Trovare la possibilità di finanziare un’opera del costo di qualche milione di euro è, quindi, estremamente difficile nella maggioranza dei casi.

Per quanto riguarda le cauzioni da presentare, il comma 13 dell’Art. 183 recita:

Le offerte sono corredate dalla garanzia di cui all’articolo 93 e da un’ulteriore cauzione fissata dal bando in misura pari al 2,5 per cento del valore dell’investimento, come desumibile dal progetto di fattibilità posto a base di gara. Il soggetto aggiudicatario è tenuto a prestare la cauzione definitiva di cui all’articolo 103. Dalla data di inizio dell’esercizio del servizio, da parte del concessionario è dovuta una cauzione a garanzia delle penali relative al mancato o inesatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali relativi alla gestione dell’opera, da prestarsi nella misura del 10 per cento del costo annuo operativo di esercizio e con le modalità di cui all’articolo 103; la mancata presentazione di tale cauzione costituisce grave inadempimento contrattuale.

La cauzione provvisoria (art.93) e quella definitiva (art.103) nelle concessioni sono calcolate secondo quanto previsto dall’art. 167:

Il valore di una concessione, ai fini di cui all’articolo 35, è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi.

Troppo, impossibile per chiunque non sia una società strutturata, od un consorzio di aziende con le spalle più che solide.

E’ giusto che sia così? Difficile dirlo. Da una parte, sarebbe certamente auspicabile che gli impianti sportivi complessi siano gestiti da veri imprenditori, e non da semplici appassionati. Ma allora tutto dovrebbe cambiare, a partire dal pagare correttamente le tasse e dall’applicare ai lavoratori veri contratti di lavoro.

Altrimenti, diventa solo concorrenza sleale, perchè le grandi società, sempre le stesse, cannibalizzano i piccoli gestori, usufruendo delle agevolazioni che sono state pensate per un mondo sportivo aperto alla pluralità di piccoli soggetti, economicamente deboli, che forniscano un servizio sociale più che imprenditoriale.

Quindi delle due l’una: o la gestione degli impianti sportivi complessi, tra cui le piscine, viene portata avanti a livello imprenditoriale, lasciando alle società sportive solamente lo spazio acqua in affitto (dove per gestione imprenditoriale si intendono gli stessi limiti e requisiti imposti a qualunque azienda, anche al piccolo bar di campagna gestito dalla giovane coppia), oppure la gestione degli impianti deve tornare ad essere accessibile anche alle società più piccole, perchè l’ibrido che si sta sviluppando non fa bene al settore.

Nessuna delle due soluzioni andrebbe scartata a priori. La decisione dovrebbe essere politica, presa dopo una attenta e approfondita analisi di mercato, e portata avanti con un processo di conversione che non sia traumatico e non porti alla chiusura degli impianti.

 

“Non pretendiamo che le cose cambino se continuiamo a fare nello stesso modo” Albert Einstein