di Rossana Prola e Riccardo Pennati
Pubblicato su Piscine Oggi – 2014
Quando si intende realizzare una nuova piscina o ristrutturarne una esistente, il primo scoglio da affrontare è quello delle autorizzazioni edilizie. Come vedremo nel seguito dell’articolo, si tratta a volte di una fase ancora più complessa della realizzazione stessa della piscina.
Per quanto riguarda le nuove installazioni, si è ormai da tempo sgomberato il campo dai dubbi riguardanti la necessità di autorizzazione per alcune tipologie di piscine, quali ad esempio le fuori terra. Se, infatti, è assodata la necessità di ottenere permessi per lo scavo che modifica in modo permanente l’assetto del suolo, anche una piscina fuori terra necessita di una autorizzazione, anche nel caso in cui si tratti di una struttura temporanea.
Va posto quindi un punto fermo: non è possibile realizzare una piscina senza richiedere preventivamente una autorizzazione edilizia. Si tratta di vedere di quale tipologia di autorizzazione si tratti e qui la questione spesso si complica.
Il quadro normativo è vario ed eterogeneo, in quanto a seguito della riforma del titolo V della Costituzione spetta alla Regioni definire quali siano i titoli edilizi necessari. Essi sono definiti all’interno del Testo Unico della Edilizia (TUE) e sono riconducibili a:
1. Permesso di costruire (ex concessione edilizia)
2. DIA
3. SCIA
Il permesso di costruire è un atto amministrativo che consente l’esecuzione di opere edili inquadrati all’interno di:
1. interventi di nuova costruzione;
2. interventi di ristrutturazione urbanistica
3. interventi di ristrutturazione urbanistica che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche di volume o sagoma (ora solo per gli edifici soggetti a vincolo), dei prospetti o delle superfici o che comportino cambiamenti di destinazione d’uso.
Esso viene rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente. Nel permesso di costruire devono essere indicati i termini di inizio e fine dei lavori. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo, mentre l’opera deve essere completata entro tre anni dall’inizio lavori. La realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di un nuovo permesso solo per quelle opere ancora da eseguire.
La domanda per il rilascio del permesso di costruire va presentata allo sportello unico corredata da:
1. titolo di legittimazione (prova della proprietà o della disponibilità dell’area)
2. elaborati progettuali richiesti dal regolamento edilizio e da altri documenti qualora ve ne fosse richiesta
3. autocertificazione circa la conformità del progetto alle norme igienico sanitarie.
Entro 60 giorni (120 per i Comuni sopra i 100.000 abitanti) il responsabile del procedimento cura l’istruttoria e acquisisce, avvalendosi dello Sportello Unico per l’Edilizia, i prescritti pareri e gli atti di assenso eventualmente necessari. Valutata la conformità del progetto alla normativa vigente, formula una proposta di provvedimento, corredata da una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto. Nel caso in cui siano interessate più amministrazioni pubbliche le quali manifestino parere negativo o non si pronuncino, o il progetto ha un certo livello di complessità, il responsabile del provvedimento indice una Conferenza dei Servizi. Non è obbligatoria se coinvolge una sola Amministrazione, oltre naturalmente al Comune procedente.
Il provvedimento finale deve essere adottato entro 30 giorni dalla proposta e deve essere data risposta all’interessato. In caso contrario si ha un silenzio significativo, che con il vecchio impianto legge era nella forma del silenzio-rifiuto mentre ora, dopo le recenti modifiche, se sull’area non sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, è intesa la forma del silenzio-assenso. In presenza invece di tali vincoli è confermato il silenzio-rifiuto, ma è fatto obbligo al responsabile del procedimento di trasmettere al richiedente il provvedimento di diniego entro 5 giorni dalla data in cui questo è acquisito agli atti. La comunicazione deve dare indicazione del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere.
Le Regioni hanno facoltà di individuare con apposita legge ulteriori interventi che in relazione all’incidenza sul territorio o al carico urbanistico sono sottoposti al permesso di costruire.
Il permesso di costruire deve essere richiesto per la realizzazione di una piscina di nuova costruzione non legata da un vincolo pertinenziale ad un altro immobile. Un vincolo di pertinenzialità tra due immobili sussiste ogni qual volta uno di essi è permanentemente e volontariamente al servizio dell’altro, cioè esiste solo e soltanto in funzione dell’altro cespite.
La piscina privata a servizio di una abitazione è sempre definibile come “pertinenza” della abitazione stessa e quindi nella maggior parte dei casi l’autorizzazione edilizia richiesta non è un permesso di costruire.
Tuttavia anche nel caso di pertinenze è previsto il permesso di costruire nei seguenti casi:
1. l’opera che deve essere realizzata ha un volume superiore al 20% dell’edificio principale;
2. quando le Norme Tecniche di Attuazione e altri strumenti, quali il Regolamento Edilizio, in base alla zonizzazione e ai possibili vincoli paesaggistici-ambientali, li qualifichino come interventi di nuova costruzione.
NTA (Norme Tecniche di Attuazione) e Regolamento Edilizio sono due strumenti molto importanti ai fini della redazione degli elaborati tecnici e del progetto stesso della piscina da presentare in Comune per ottenere l’autorizzazione. Infatti sono riportate tutto un insieme di regole operative legate ad esempio alla distanze minime dai confini privati o dalla strada dove poter installare certi manufatti, alla possibilità o meno di potersi dotare di coperture o gazebo-spogliatoi. Molte volte insieme ai pareri ed osservazioni da parte dei confinanti, una scarsa attenzione ai dettami presenti anche ad uno di questi strumenti (solitamente il Regolamento Edilizio) comporta il rigetto della domanda.
La Denuncia di Inizio Attività è un titolo abilitativo “più snello” rispetto al permesso di costruire. Innanzi tutto non è un atto amministrativo, ma è un atto promosso dal privato. Come nel caso del permesso di costruire viene lasciata facoltà alle Regioni di individuare con legge ulteriori tipologie di intervento assoggettate a DIA; in Lombardia, ad esempio i due strumenti per legge hanno totale alternatività. Gli elaborati da presentare all’interno di una DIA sono i seguenti:
1. autocertificazione di sussistenza di conformità agli strumenti urbanistici e alla normativa vigente;
2. elaborati progettuali e tecnici;
3. autocertificazione relativa al rispetto delle norme su sicurezza e igienico-sanitarie.
Tale documentazione deve essere redatta da un tecnico abilitato.
Trascorsi 30 giorni dalla trasmissione della domanda al Comune si può dar luogo ai lavori. Il silenzio da parte della PA è da interpretarsi quindi come come silenzio-assenso. Il termine dei lavori deve essere entro tre anni dall’accettazione della domanda. Ultimato l’intervento il tecnico-progettista deve rilasciare un certificato di collaudo che va presentato allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell’opera al progetto presentato con la DIA.
Gli interventi concessi erano tutti quelli non soggetti a Permesso di Costruire e ad edilizia libera. Con le recenti innovazioni in materia, tale strumento sarebbe dovuto essere soppiantato in toto dalla SCIA, che verrà illustrata in seguito, ma di fatto non è così. A tre anni dall’entrata in vigore di quest’ultima il quadro è ancora confuso. Per completezza d’informazione ricordiamo quindi anche questi margini di applicazione della DIA: opere in variante a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano le destinazioni d’uso e la categoria edilizia e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Sono quindi assoggettabili a DIA gli interventi pertinenziali che comportino la realizzazione di un volume pari o inferiore al 20% dell’edificio principale e tutti quelli che per vincoli di azzonamento o paesaggistico-ambientali li qualifichino come interventi di nuova costruzione. Pertanto buona parte delle piscine possono essere abilitate alla realizzazione passando da questo strumento.
All’interno della Legge Finanziaria 2010 è stato introdotto un nuovo strumento autorizzativo: la SCIA, Segnalazione Certificata di Inizio Attività. Nelle intenzioni iniziali del legislatore, questo strumento era concepito come sostitutivo della DIA per poi diventarne un titolo abilitativo alternativo.
Attraverso questo atto diventa possibile l’inizio dei lavori nel giorno stesso della segnalazione all’amministrazione preposta, senza attendere i 30 giorni previsti dalla DIA, fermo restando la possibilità di effettuare verifiche in corso d’opera. Nel caso in cui venga accertata una carenza dei requisiti, l’amministrazione può adottare provvedimenti di divieto entro 60 giorni dal ricevimento della segnalazione. Decorso questo termine vale la regola del silenzio – assenso, a meno che non si incorra nel rischio di danni gravi e irreparabili per il patrimonio artistico e culturale, all’ambiente, alla salute o alla sicurezza pubblica. E’ facoltà del titolare mettersi in regola entro un termine fissato dall’Amministrazione che non può essere inferiore ai 30 giorni.
Il proprietario o chi ne ha titolo può presentare la SCIA, allegando un progetto corredato da tutti gli elaborati tecnici e amministrativi previsti dal regolamento edilizio. Tale progetto deve essere redatto da un professionista abilitato alla progettazione e deve contenere la relazione asseverata sulla conformità urbanistica, edilizia, sanitaria e di sicurezza, nonchè le autocertificazioni di conformità alla vigente normativa.
La norma richiede espressamente che alla Segnalazione Certificata di Inizio Attività siano allegate, tra l’altro, le attestazioni di tecnici abilitati, con gli elaborati progettuali necessari per consentire le verifiche successive di competenza da parte dell’Amministrazione. La documentazione da presentare deve essere vagliata quindi da un tecnico terzo che avvalori il rispetto delle norme urbanistiche vigenti.
Altra innovazione introdotta è la facoltà da parte dell’interessato di richiedere allo Sportello Unico d’Edilizia del proprio comune l’acquisizione degli atti di assenso prima di presentare la SCIA, anticipando così i tempi. In tal caso l’amministrazione deve dare comunicazione dell’avvenuta acquisizione entro 60 giorni dalla richiesta e non dalla presentazione della documentazione.
Il campo di applicazione è il medesimo della DIA, Con le recenti innovazioni introdotte dal “Decreto del Fare”, sono soggetti a SCIA gli interventi edilizi che portano ad una modifica della sagoma ma non del volume e non più al permesso di costruire. Inoltre entro il 30 giugno 2014 i Comuni dovranno individuare all’interno delle zone omogenee “A” (tessuto urbano storico consolidato) del piano regolatore le aree nelle quali non è applicabile la SCIA per interventi di demolizione e ricostruzione, o per varianti a permessi di costruire, comportanti modifiche della sagoma. Nelle restanti aree delle zone “A”, al di fuori di quelle individuate dai Comuni, gli interventi autorizzabili con SCIA, non possono iniziare prima di 30 giorni dalla data di presentazione della segnalazione. Inoltre viene stabilito un periodo transitorio: finché i Comuni non adottano le deliberazioni richieste, in tutte le zone omogenee “A” non potrà essere impiegata la SCIA, ma bisognerà ricorrere al Permesso di Costruire.
La procedura semplificata, che amplia il ricorso all’autocertificazione, non è possibile in presenza di atti comunitari o rilasciati dalle amministrazioni preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio cultuale e paesaggistico e dell’ambiente.
A questo proposito, va evidenziato come in un Paese come il nostro, nel quale la tutela paesaggistica assume un ruolo rilevante, le autorizzazioni per le costruzioni in aree a vincolo siano esse stesse complesse ed articolate, slegate in tutto od in parte da quelle fino ad ora illustrate.
Quando si intende realizzare una piscina in una zona sottoposta a vincolo paesistico, infatti, oltre al Comune interessato viene coinvolta anche la Soprintendenza, che è un organismo istituito dallo Stato attraverso il Ministero per i beni Culturali e dislocato sul territorio. I tempi si allungano, le procedure si complicano, e spesso vengono richieste modifiche al progetto.
Nel caso si realizzi una piscina pubblica le procedure sono ulteriormente complicate dalla necessità dell’ottenimento di una serie di pareri aggiuntivi quali ad esempio quelli dei Vigili del Fuoco, della ASL di competenza, nonché spesso dai componenti della Commissione Comunale di Vigilanza. Sulla obbligatorietà di questo parere per la agibilità delle piscine aperte al pubblico ancora non vi è chiarezza. Non tutte le Prefetture, infatti, sono concordi nello stabilirne l’obbligatorietà per impianti non dotati di tribune destinate alle manifestazioni sportive.
Una volta realizzata la piscina si deve affrontare l’ultimo scoglio, cioè l’agibilità. Nonostante tutto quanto richiesto in fase di progettazione e di lavori, è necessario produrre altra documentazione che attesti la corrispondenza tra ciò che si è richiesto di fare e ciò che è stato effettivamente realizzato. In questa fase vanno consegnate anche le certificazioni di conformità degli impianti, in corrispondenza a quanto previsto dal D.M. 37/08. La conclusione delle procedure autorizzative è seguita dall’accatastamento del nuovo fabbricato.
Da quanto sopra descritto appare evidente come l’iter per la realizzazione o la ristrutturazione di una piscina sia complesso e spesso irto di ostacoli. Non è possibile effettuarlo senza l’ausilio di un tecnico abilitato, che deve affrontare spesso un vero e proprio “percorso ad ostacoli” insieme al tecnico comunale. Procedure di questo tipo non agevolano certo né le nuove realizzazioni né tantomeno la trasparenza delle operazioni, ma ormai siamo più che abituati, in questo Paese, al fatto che per tentare di combattere la scarsa tendenza di noi italiani alla correttezza si mettano in atto disposizioni che producono l’effetto esattamente opposto. Vale a dire, si complica per complicare la vita ai disonesti, creando, di fatto, una disonestà “da sopravvivenza”.