La gestione delle piscine sempre più in difficoltà: un problema di regole?

Riflessioni da un articolo sulle piscine liguri

Il titolo dell’articolo comparso il 10 agosto 2014 su La Repubblica.it di Genova è davvero un “titolo-bomba”: Sport, Liguria in ginocchio chiudono piscine e palestre società sull’orlo del collasso.
Il contenuto non è da meno, poiché l’autrice, Ava Zunino, mette in evidenza come alcune storiche piscine pubbliche liguri abbiano già chiuso i battenti ed altre stiano per seguirne la sorte.
La colpa, pare, sarebbe della sparizione degli sponsor privati che sostengono le squadre agonistiche liguri, soprattutto per lo storico settore della pallanuoto, e della strutturale carenza di fondi dei Comuni, proprietari degli impianti, che non consente di ristrutturarli. E la Liguria è una regione, insieme alla Toscana, nella quale le piscine sono particolarmente vecchie, andrebbe detto mal realizzate nel periodo del boom edilizio degli anni settanta, e ormai non reggono piu. Cadono a pezzi, letteralmente.
E quindi, una alla volta, chiudono.
Ma l’articolo offre spunto per un’ altra importante riflessione, cioè quella sulla valenza sociale della gestione delle piscine. In Liguria, così come nel resto d’Italia, la gestione delle piscine è affidata in gran parte a società sportive, i prezzi sono convenzionati e l’agonismo ha molto spazio all’interno degli impianti. In molte atre zone d’Italia esistono situazioni molto diverse, nelle quali le piscine rappresentano ancora, seppure sempre più faticosamente, un business. Ma è corretto distinguere in modo netto le società che offrono un servizio sociale e quelle che invece non lo offrono basandosi solamente su quanto guadagnano?
Perchè chi lavora producendo servizi a prezzi contenuti, offerti a tutte le fasce della popolazione senza discriminazioni, migliorando il benessere fisico e riducendo quindi i costi della assistenza sanitaria, deve necessariamente essere povero? Perchè non è accettabile guadagnare proprio perchè si lavora bene?
In un sistema capitalista “puro”, la linea guida è rappresentata esclusivamente dal profitto e chi non ce la fa è destinato a soccombere. In un sistema come il nostro nel quale lo Stato sostiene le fasce deboli della popolazione la collaborazione con il privato può dare ottimi frutti, ma solo a patto che entrambe le parti traggano adeguata soddisfazione. Per lo Stato ciò significa ottenere ottimi servizi a costi sostenibili, per il privato ottenere un guadagno. Non mi pare una condizione inaccettabile. Nessuno lavora gratis, nemmeno chi lavora all’interno di una associazione sportiva, dove piuttosto lavora male, senza tutela e sottopagato.
Allora io penso che sia meglio, molto meglio, che i gestori diventino imprenditori del sociale, senza bisogno di camuffarsi in ciò che non sono. Penso sia meglio, molto meglio, che chi lavora nelle piscine venga correttamente retribuito e non sfruttato e sottopagato perchè la legge lo consente. Penso sia meglio, molto meglio, che le società di gestione producano redditto, in modo da poterlo eventualmente accantonare per effettuare interventi di manutenzione sugli impianti degni di questo nome e per avere un più facile ricorso al credito.
E penso che lo Stato debba comunque aiutare e agevolare queste società. Società private, a scopo di lucro, che offrono un servizio socialmente utile.
Ben venga quindi il nuovo regolamento regionale ligure che prevede l’affidamento diretto degli impianti sportivi, ma senza la discriminazione della valenza economica, perchè l’augurio che ci si dovrebbe fare, tutti quanti, è che gli impianti sportivi producano vantaggio per tutti: per i gestori e per i cittadini.